Domande frequenti sulla Cattura e stoccaggio del biossido di carbonio

Come nasce la necessità dello stoccaggio geologico della CO2?

La necessità di ricorrere allo stoccaggio permanente della CO2 nasce dalla volontà di contrastare i cambiamenti climatici in atto, che minacciano l’intero ecosistema.
Si stima che la domanda mondiale di energia nel 2035 sarà più alta di oltre il 30% rispetto a quella del 2008, e che, nonostante lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, i combustibili fossili continueranno a svolgere un ruolo importante, coprendo oltre il 70% del fabbisogno.
Ciò comporterà un aumento delle emissioni annue di CO2 da 29,3 miliardi di tonnellate all’anno, registrate nel 2008, a oltre 35 miliardi di tonnellate all’anno previste nel 2035, con il conseguente aumento della concentrazione di tale gas nell’atmosfera da 387 parti per milione (ppm) nel 2009 a valori superiori a 650 ppm. Si stima che ciò determinerà un incremento della temperatura media della terra di 3,5 gradi centigradi. La comunità scientifica mondiale continua a studiare i complessi scenari climatici futuri e ad oggi ritiene che l’aumento massimo di temperatura che il globo può sopportare è di 2 °C, corrispondenti ad una concentrazione di CO2 pari a circa 450 ppm. Appare quindi evidente che bisogna ridurre il tasso di emissione della CO2 ai fini di mantenerne la concentrazione in atmosfera sotto tale soglia.
Come azione a breve termine, l’obiettivo entro il 2020 è quello di ridurre del 20% il livello delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990. A lungo termine, invece, l’obiettivo è ridurre tali emissioni del 70%, sempre in riferimento ai livelli del 1990.
A seguito dello sviluppo tecnologico degli ultimi anni e nel tentativo di raggiungere concretamente i citati target di abbattimento delle emissioni, si sono messe a punto specifiche tecniche di cattura e confinamento della CO2 indicate genericamente con l’appellativo di ”CCS”, acronimo di Carbon Capture & Storage. Si tratta di tecnologie di transizione, destinate ad essere applicate fino a quando non si svilupperanno metodologie di produzione energetica avanzate, al punto tale da ridurre in maniera significativa, alla fonte, le emissioni.

 

Quali strumenti normativi sono stati messi in atto a livello Europeo? E in Italia?

A livello europeo ciascuno Stato è stato responsabilizzato sulla necessità di intraprendere azioni precise e, a riguardo, è stata emanata la Direttiva n. 31 del 23 Aprile 2009, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 162 del 14 settembre 2011.

 

Dove viene materialmente immagazzinata la CO2?

Lo stoccaggio permanente di CO2 ha luogo in strutture geologiche sotterranee che hanno caratteristiche idonee al confinamento. La CO2 iniettata si accumula nelle fratture e negli interstizi delle rocce porose e permeabili delle formazioni geologiche profonde ritenute idonee.

 

Tutte le formazioni geologiche sono idonee per stoccare la CO2?
Che caratteristiche devono presentare?

Affinché un giacimento sia idoneo, deve presentare specifiche caratteristiche per quanto concerne la conformazione della “roccia serbatoio” ove sarà appunto contenuta la CO2 e dalla “roccia di copertura”, la quale dovrà risultare completamente impermeabile al fine di impedire fuoruscite.
Esistono tre opzioni principali per lo stoccaggio permanente della CO2 :

  1. Giacimenti esauriti di gas naturale e petrolio
    Offrono opportunità di stoccaggio della CO2 e presentano caratteristiche geo-morfologiche ben note
  2. Acquiferi Salini
    Offrono un potenziale di stoccaggio della CO2 di gran lunga superiore in termini di volumi stoccabili rispetto ai giacimenti esauriti ma ne vanno verificate le caratteristiche geomorfologiche.
  3. Giacimenti profondi di carbone
    opzione in via di studio.

Gran parte delle formazioni idonee si trovano a profondità comprese tra 1.000 e 4.000 metri, dove la pressione è sufficientemente elevata per immagazzinare la CO2 in fase liquida.

 

Cosa accade alla CO2 una volta immagazzinata nel sito di stoccaggio?

La CO2 iniettata nella roccia serbatoio va a riempire gli interstizi liberi al di sotto della roccia di copertura. Con il trascorre del tempo, una parte della CO2, si discioglie nell’acquifero salino sottostante e in alcuni casi reagisce trasformandosi in minerali (carbonato di calcio e magnesio). Questi ultimi processi si svolgono in tempi molto lunghi, contribuendo a rendere permanente l’intrappolamento.

 

E’ una tecnologia ormai consolidata? Esistono esempi nel mondo?

A partire dagli anni ‘90 sono stati condotti importanti programmi di ricerca sulle tecnologie CCS in Europa, Stati Uniti, Canada, Australia e Giappone. Molte conoscenze sono state acquisite con i primi progetti dimostrativi nell’ambito dei quali la CO2 è iniettata ormai da più di quindici anni. A titolo di esempio, tra i principali progetti di successo attualmente in esercizio si ricordano :

  1. Sleipner (Norvegia) : circa 1milione di tonnellate all’anno iniettate a partire dal 1996
  2. Weyburn (Canada) : circa 1,8 milioni di tonnellate all’anno iniettate a partire 2000
  3. In Salah (Algeria) : circa 1milione di tonnellate all’anno iniettate a partire dal 2004

Su scala minore (progetti pilota) decine di altri esempi sono attualmente in esercizio, con finalità dimostrative, come, ad esempio, in Francia (Lacq), Spagna (Compostilla), Germania (Schwarze Pumpe).
L’obiettivo a livello europeo è realizzare almeno 12 progetti dimostrativi su grande scala entro il 2020.

 

Esistono progetti di stoccaggio della CO2 in Italia ?

Al momento non esistono progetti industriali attivi in Italia, tuttavia è da segnalare che nel 2008, ENEL ed ENI hanno sottoscritto un accordo strategico di collaborazione per lo sviluppo di tecnologie CCS.
Nell’ambito di tale accordo si inquadra la realizzazione del primo progetto pilota integrato ENEL per la cattura della CO2 nella centrale elettrica di Brindisi sud e il progetto ENI di iniezione in un giacimento esausto di gas a Cortemaggiore (Piacenza).
L’impianto di Brindisi cattura circa 2,5 tonnellate all’ora di CO2 da iniettare nel giacimento di Cortemaggiore, oggi adibito allo stoccaggio di gas naturale.
La sperimentazione durerà tre anni, e si prevede di iniettare complessivamente 24.000 tonnellate di CO2 (8.000 t/anno).
Su scala industriale, è in corso di definizione il progetto “Porto Tolle” di cattura post-combustione e separazione di circa 1 milione di tonnellate all’anno di CO2 prodotte dall’omonima centrale a carbone e di successivo trasporto della CO2 sequestrata tramite pipeline a strutture di stoccaggio in acquifero profondo. Attualmente è in corso il procedimento per l’autorizzazione della realizzazione della centrale e sono in corso studi per l’individuazione del sito di stoccaggio.
Un ulteriore sperimentazione prevista riguarda il progetto integrato “CCS Sulcis”. Il progetto prevede di realizzare un sistema dimostrativo CCS comprendente una sezione di cattura di CO2 alimentata con una parte dei fumi di combustione di una nuova centrale elettrica e un sistema di trasporto e confinamento geologico di CO2 negli strati profondi del bacino carbonifero del Sulcis mediante l’applicazione combinata delle tecnologie ECBM (Enhanced Coal Bed Methane) e del confinamento in acquiferi sottostanti gli strati di carbone.
Infine, ulteriori potenziali progetti, oggi ancora in fase di studio, riguardano, la possibilità di catturare la CO2 da impianti di gassificazione presenti nelle raffinerie e il conseguente stoccaggio in giacimenti petroliferi limitrofi, con contemporanea verifica della possibilità di incremento nel recupero dei greggi pesanti (EOR); in fase si studio risulta anche un progetto di separazione della CO2 da idrocarburi gassosi acidi (ricchi di CO2) prodotti da giacimenti in produzione e la re-iniezione della stessa in giacimenti limitrofi depletati o in acquifero salino.
Per entrambi gli studi è in fase di completamento uno screening tecnico volto ad individuare gli impianti e i giacimenti che presentano le caratteristiche geo-morfologiche idonee e compatibili con le finalità dei progetti.

 

Cosa assicura che la CO2 resti confinata all’interno della zona individuata e non vi sia il rischio che si possa disperdere con fuoriuscite?

In generale le potenziali vie di fuga sono artificiali (ad esempio da pozzi preesistenti o da quelli realizzati per l’iniezione della CO2) o naturali (ad esempio fratture e faglie). Tali rischi vengono tenuti sotto controllo tramite attenti studi e verifiche preliminari delle strutture preesistenti nell’area, una idonea progettazione e realizzazione dei pozzi di iniezione e attenti monitoraggi dell’aria e del suolo da effettuarsi prima, durante e una volta conclusa la fase di stoccaggio,
La migrazione lungo faglie/fratture è un fenomeno complesso, tuttavia una buona conoscenza delle strutture geologiche consente di gestire i siti di stoccaggio della CO2 con gli stessi livelli di sicurezza che caratterizzano la coltivazione dei giacimenti di idrocarburi che, in modo naturale, per milioni di anni hanno imprigionato il metano o il petrolio.

 

Esiste la possibilità che si verifichino fenomeni sismici a seguito del confinamento di CO2 nel sottosuolo?

Tutte le analisi e gli studi condotti, monitorando il comportamento dei campi dove è in corso lo stoccaggio della CO2, non evidenziano alcuna diretta correlazione fra i fenomeni sismici e l’iniezione e lo stoccaggio.

 

In termini di salute e sicurezza, quali sono i possibili impatti per le popolazioni?
E per l’ambiente?

La CO2 non risulta pericolosa per la salute dell’uomo, se non ad alte concentrazioni. Nell’aria che quotidianamente respiriamo la CO2 è presente con una concentrazione di circa lo 0,04%. Valori inferiori allo 0,5% sono tollerati senza alcuna conseguenza per la salute dell’uomo. Al crescere del livello di concentrazione e per valori superiori alla soglia sopracitata si possono, invece, verificare disturbi e patologie quali mal di testa, nausee e vertigini. Con concentrazioni più elevate ed in caso di esposizione prolungata, si possono avere serie difficoltà respiratorie e, nei casi più gravi, asfissia.
Tramite il monitoraggio continuo delle aree possono essere individuate immediatamente eventuali fuoriuscite e prese le dovute misure correttive.
Bisogna comunque osservare che se la CO2 fuoriesce in un sito aperto e pianeggiante, essa si disperde naturalmente nell’aria; il potenziale rischio è quindi limitato a fuoriuscite in ambienti chiusi e circoscritti o in depressioni topografiche, in quanto, in tali particolari situazioni, la concentrazione di CO2 può aumentare poiché, essendo più densa dell’aria, tende ad accumularsi in prossimità del suolo e dei punti di fuoriuscita. In Italia in molte aree la CO2 è presente naturalmente nel sottosuolo e fuoriesce spontaneamente provocando, talora, una localizzata riduzione della vegetazione.